Ci sono attimi di vita che ricorderai per sempre, ci sono sguardi che non dimenticherai mai. E poi ci sono quei “pezzi”, pezzi interi, che oblii.
Giorni, mesi, a volte perfino anni. Alcune volte questi volano via e tu lasci che accada, non ti impegni a fissarli nella mente o semplicemente preferisci che scivolino via, fra le pieghe di un tempo pietoso che decide di lenire ferite che, altrimenti, non si sarebbero mai rimarginate.

A volte il tempo allevia alcune ferire, altre volte le fissa nella tua mente come monito dei prossimi passi che compirai, ma molto più spesso le cancella pur di spingerti a tentare di nuovo il salto.

La vita è un enigma particolarmente irritante e quasi sicuramente irrisolvibile.

E così il tempo passa e finisci per aprire e chiudere capitoli di vita, con la stessa frenetica dolorosa ossessione di una corsa verso qualcuno che in realtà è ormai alle tue spalle, lontano da te, ma sempre di fronte. Una meta inarrivabile.

Correre e rincorrere gli eventi con una follia che ti afferra, sconvolgendoti. Facce, attimi, parole, momenti che si mescolano e ti affondano, che ti trascinano verso il basso mentre continui ad arrancare verso una vetta che ti sembra ogni attimo più lontano e irraggiungibile. Eppure continui, testarda, a muovere ogni passo necessario per spingerti oltre, anche quando non sai più quale possa essere il termine.
Testa china, spalle curve, e tu che ti spingi oltre ad ogni fitta di dolore che ti pervade. Ogni respiro, che ti taglia l’anima e gola, che diventa il ritmo cadenzato di un viaggio eterno che strema e che ormai subisci.

Eppure un giorno avviene, i tuoi piedi non sono più in salita. Lì per un attimo incespichi, e perdi il ritmo di morte che ti accompagnava da fin troppo tempo. Ti fermi e non alzi lo sguardo a goderti l’attimo di felicità, ma stupidamente lo volgi indietro e ti rendi conto di quanta strada tu abbia percorso. Ti volgi indietro, ancor prima di guardare di fronte e intorno a te, fissando lo strapiombo dietro di te. Come è potuto accadere? Eppure eccoti lì, con i piedi a terra e la schiena dritta, con il calore del sole sul viso che fissi il passato, con l’incredulità di chi non comprende come ci sia potuto riuscire.

Quante mani ti hanno toccata, aiutata, afferrata e strattonata. Quanti visi ti sono familiari, mentre altri ormai sono solo echi lontani fra le pieghe di un ricordo smarrito. E quanti abbracci hai perso, lungo la via. E quante parole dette hai cancellato, facendo spazio al non detto che ancora culli dentro.
Tutto ti ha spinto, e trattenuta, ma sei comunque arrivata fin lì. Che non è la vetta ma è una vetta, una piccola cresta tutta per te, dove fissare una bandiera di pace che ti accoglierà per il tempo che ti necessiterà prima di riprendere il lungo viaggio di questa vita che non mostra mai pietà, ma che ti forma passo dopo passo con il solo scopo di renderti in grado di scalarla.

Sai che non vincerai, non puoi vincerla, ma che tutto ciò che puoi fare è continuare ad arrancare per poi arrivare ad arrenderti a lei. Eppure sei lì che sorridi, per un attimo serena, e guardi con critico orgoglio la strada fatta, tutti i tuoi errori nonché vittorie.

E poi l’errore.

“Forse posso farcela”, pensi, osservando la cima successiva. “Forse ne sono in grado“, ti dici, improvvisamente colma di un coraggio che non sapevi di avere mentre ti rendi  improvvisamente conto di non ricordare più cosa ti ha spinta ad iniziare la scalata.

La mente ti protegge e ti inganna, e tu non sai realmente dire di no a quel nuovo viaggio da intraprendere. Così, beata e inconsapevole, non ti dai neanche un altro sguardo intorno, non ti godi ciò che hai appena tanto faticosamente conquistato, e porti avanti un piede, pronta a riprendere quel viaggio che ti porterà alla fine di una Vita sarcasticamente irriverente che ti alletta con vette sempre più alte e che ti strappa con l’oblio la pace di ogni attimo di pace conquistato.

E sei di nuovo lì, testa china, spalle curve, ad arrancare verso il tuo futuro.

Correte, correte, piccoli adorabili topolini bianchi. Correte. Correte.

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